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Il Patient Blood Management nella medicina pre-operatoria

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Cos’è il Patient Blood Management?

Il Patient Blood Management (PBM) è una strategia che mette insieme una serie di interventi di tipo multiprofessionale e multidisciplinare.

Interventi incentrati sul paziente volti a ridurre al minimo l’uso di emoderivati a e migliorare gli esiti dei pazienti.

È pertanto un approccio che coinvolge tutti coloro che ruotano intorno alla gestione di un soggetto che può avere necessità di trasfusioni di sangue.

Ha come scopo la gestione ottimale dell’anemia, dell’emostasi e il contenimento del fabbisogno trasfusionale allogenico. Enfatizza così l’impiego appropriato degli emocomponenti e, ove applicabile, dei medicinali, derivati o no dal plasma.

Il concetto di PBM non è focalizzato su una specifica patologia, ma mira a gestire la risorsa sangue del singolo paziente che, quindi, acquista un ruolo centrale e prioritario.

Pertanto, il PBM va oltre il concetto di uso appropriato degli emocomponenti e dei plasmaderivati poiché si prefigge l’obiettivo di prevenirne o ridurne in modo significativo l’utilizzo gestendo in tempo utile tutti i fattori di rischio modificabili che possono comportare la trasfusione. Tutto questo è chiaramente esplicitato nella definizione di PBM secondo la Society for the Advancement of Blood Management per la quale per PBM si deve intendere:

“l’applicazione tempestiva di principi medici e chirurgici basati sull’evidenza concepiti e progettati per il mantenimento della concentrazione di emoglobina, l’ottimizzare dell’emostasi e la minimizzazione della perdita di sangue allo scopo di migliorare gli esiti dei pazienti”

Da un punto di vista concettuale, l’implementazione dei principi del PBM richiede di:

  • Mettere da parte il dogma che la medesima strategia possa essere applicata indistintamente a tutte le diverse tipologie di pazienti;
  • Non utilizzare la trasfusione di globuli rossi come soluzione unica e primaria per la correzione di bassi livelli di Hb;
  • Implementare le varie strategie attraverso la collaborazione dei membri di un team multidisciplinare che lavori basandosi su 4 principi guida:
    • Gestione dell’anemia;
    • Ottimizzazione di una eventuale coagulopatia;
    • Uso di tecniche che mirino ad un risparmio del sangue;
    • Comunicazione con il paziente.

Il PBM e il coinvolgimento del paziente

Tradizionalmente, la trasfusione di globuli rossi ha sempre costituito la terapia di riferimento dell’anemia. Si tratta di una procedura terapeutica consolidata con ormai oltre 100 anni di storia alle spalle.

La natura solo apparentemente innocua della trasfusione di sangue, la sua percepita facile disponibilità, il suo relativo basso costo, la facilità con cui può essere prescritta e la capacità di osservarne immediatamente l’efficacia sono tutti elementi che hanno contribuito ad un suo utilizzo molto diffuso.

Tuttavia, le prove relative ai possibili effetti dannosi collegati alle trasfusioni sono andate aumentando di anno in anno.

Diversi studi hanno dimostrato che i pazienti trasfusi vanno incontro più frequentemente rispetto a quelli non trasfusi a complicanze ed esiti peggiori, tra cui un aumento del rischio di mortalità, morbilità (ictus, danno renale, eventi tromboembolici, infezioni, insufficienza respiratoria) con prolungamento della degenza.

Il PBM incoraggia il coinvolgimento attivo del paziente attraverso il colloquio tra quest’ultimo e i curanti circa le varie opzioni disponibili per il suo caso specifico.

In definitiva, quindi, il PBM intende garantire a tutti i pazienti una personalizzazione del percorso trasfusionale in base alle esigenze chirurgiche e alle caratteristiche dei pazienti stessi.

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Patient Blood Management: quali gli obiettivi?

Il Patient Blood Management ha tre obiettivi principali:

  • Migliorare la massa eritrocitaria
  • Ridurre al minimo possibile la perdita di sangue,
  • Sfruttare e ottimizzare la tolleranza all’anemia promuovendo la massima funzionalità polmonare e cardiaca

Uno dei più importanti campi di applicazione del PBM è il paziente chirurgico nel periodo perioperatorio.

L’anemia e le trasfusioni perioperatorie sono spesso associate ad un aumento della morbilità e della mortalità nei pazienti chirurgici.

Pertanto, l’applicazione sistematica del PBM nel periodo perioperatorio è una modalità molto interessante per migliorare i risultati clinici di questa particolare categoria di soggetti.

La trasfusione rappresenta una parte del trattamento del paziente anemico e non come il solo approccio possibile e applicabile.

Il curante deve valutare attentamente rischi e benefici della trasfusione. Prendere in considerazione le evidenze a disposizione in termini di benefici, ma anche dei potenziali danni. Bisogna considerare la trasfusione alla stregua di qualsiasi altra terapia.

Gli obiettivi e i principi del PBM vengono perseguiti seguendo una ormai classica e ben identificata strategia, quella dei “tre pilastri del PBM”.

  • Primo pilastro del PBM: ottimizzare l’emopoiesi
  • Secondo pilastro del PBM: minimizzazione delle perdite ematiche
  • Terzo pilastro del PBM: ottimizzazione della tolleranza all’anemia.

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I principi generali del Patient Blood Management

Gestione dell’anemia

Questo principio comporta essenzialmente l’implementazione di un percorso diagnostico-terapeutico che individui precocemente i pazienti anemici. Si somministrano trattamenti nutrizionali e farmaceutici per sostenere l’eritropoiesi, se l’anemia non è principalmente genetica o correlata a patologia tumorale. Durante il trattamento dell’anemia, la tolleranza fisiologica dell’anemia può essere migliorata riducendo al minimo il consumo di ossigeno e /o aumentando il trasporto.

Ottimizzazione di una eventuale alterazione della funzione emostatica

Ciò comporta la conoscenza dello stato attuale dell’emostasi del singolo paziente. Naturalmente andranno tenuti in considerazione i farmaci eventualmente assunti dai pazienti come parte della terapia di altre patologie (segnatamente cardiologiche) con una qualche influenza sulla coagulazione.

Impiego perioperatorio di tecniche, strumenti e farmaci che permettono il risparmio del sangue

Sarà necessario assicurare l’implementazione delle tecniche e l’utilizzo degli strumenti utili a ridurre al minimo la perdita perioperatoria di sangue.

Chirurghi e anestesisti dovranno quindi sforzarsi per individuare e gestire immediatamente qualsiasi perdita di sangue.

Inoltre, devono essere considerate tecniche di recupero intra- e postoperatorie del sangue e si dovrà prestare attenzione al volume e alla frequenza dei prelievi di sangue a scopo diagnostico in modo da minimizzare o eliminare questa fonte di perdita iatrogena piuttosto comune.

Comunicazione continua con il paziente riguardo ai trattamenti che si intendono adottare per il suo specifico caso

È necessario comunicare efficacemente ai pazienti i rischi e i benefici dei vari interventi che, caso per caso, possono essere adottati e decidere insieme ad essi una condotta condivisa.

Patient Blood Management e anemia preoperatoria

Il riscontro di un certo grado di anemia è un evento piuttosto comune nei pazienti programmati per chirurgia maggiore.

La prevalenza di carenza di ferro è elevata nei pazienti anemici e circa il 62% di essi ne ha una carenza assoluta.

È comunque interessante notare come anche pazienti non anemici possano essere caratterizzati da una elevata prevalenza di carenza di ferro che raggiunge anche il 60% in chirurgia ginecologica e il 44% in chirurgia del tumore del colon-retto.

Diversi studi supportano i benefici del trattamento preoperatorio dell’anemia. Ad esempio, in chirurgia ortopedica, il trattamento con ferro per via endovenosa ed eritropoietina sottocutanea da 1 a 3 giorni prima dell’intervento chirurgico si è associato a:

  • Una riduzione dal 37 al 24 % della necessità di trasfusione di eritrociti;
  • Un contenimento dell’incidenza delle infezioni nosocomiali (dal 12 all’8%)
  • Una riduzione della degenza ospedaliera da 11.7 a 10.7 giorni.

Nei pazienti con fratture dell’anca, questo trattamento ha permesso una diminuzione della mortalità dal 9.4 al 4.8%.

In uno studio prospettico randomizzato in pazienti con anemia da carenza di ferro preoperatoria sottoposti a chirurgia gastrointestinale, il trattamento con ferro per via endovenosa condotto circa 10 giorni prima dell’intervento chirurgico ha ridotto le trasfusioni e la durata dell’ospedalizzazione da 9 a 6 giorni.

Trattamento dell’anemia preoperatoria

Un fattore importante è quello relativo alla tempistica con cui si diagnostica l’anemia preoperatoria.

Sebbene un suo trattamento anche tardivo può avere un certo successo, è raccomandabile iniziarlo precocemente (da 2 a 3 settimane prima dell’intervento chirurgico).

Pertanto, nell’ottica del PBM, è importante che ogni ospedale provveda a redigere un piano diagnostico terapeutico dedicato alla gestione dell’anemia preoperatoria in cui siano chiare tempistiche e assegnazione dei compiti.

Il trattamento dei soggetti con anemia da carenza di ferro preoperatoria può essere complesso poiché la sua diagnosi non sempre è immediata.

La somministrazione di ferro per via orale rimane il trattamento di prima linea ma i problemi a essa associata sono ben documentati.

Quelli di maggior rilievo clinico sono la scarsa tolleranza al farmaco e i tempi prolungati necessari per reintegrare adeguatamente le riserve di ferro. Pertanto, l’infusione IV di ferro rappresenta oggi la via di somministrazione preferita.

È stato comunque messo in luce che una risposta positiva alla terapia possa essere rilevata quando il trattamento inizia almeno 5 giorni prima dell’intervento.

Relativamente agli agenti stimolanti l’eritropoiesi, le linee guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE) mettono in guardia da un loro impiego routinario.

Sono farmaci costosi e il loro impiego è stato anche collegato a un aumento dei rischi di eventi tromboembolici e alla crescita tumorale attraverso la promozione dell’angiogenesi.

Nell’ottica del #PBM, è importante che ogni ospedale provveda a redigere un piano diagnostico terapeutico dedicato alla gestione dell’#anemia preoperatoria in cui siano chiare tempistiche e assegnazione dei compiti | #ECM Condividi il Tweet

PBM e pazienti anticoagulati/antiaggregati

Un altro aspetto importante in vista di un intervento chirurgico è la gestione perioperatoria dei pazienti sottoposti a terapia anticoagulante preoperatoria (antagonisti della vitamina K e anticoagulanti orali diretti) o a doppia inibizione piastrinica.

Relativamente al primo gruppo di soggetti, è stata proposta una tempistica standardizzata per quanto riguarda l’interruzione dei farmaci basata sulla loro farmacocinetica e sul rischio di sanguinamento previsto per lo specifico intervento chirurgico.

In pratica, i tempi di interruzione del farmaco devono essere più lunghi nei pazienti con insufficienza renale o epatica o nel caso dell’assunzione concomitante di altri farmaci che interferiscono con il metabolismo di quelli anticoagulanti.

A tale scopo, la misurazione dei livelli plasmatici dei farmaci può aiutare nel guidare la gestione del paziente.

In particolare nei pazienti a rischio di avere livelli plasmatici maggiori del previsto come quelli con funzionalità renale compromessa, età molto avanzata, in trattamento concomitante con amiodarone e in quelli in cui l’ora dell’ultima assunzione del farmaco è sconosciuta.

Relativamente alla gestione perioperatoria di pazienti con stent coronarico in doppia antiaggregazione piastrinica, le linee guida dell’American College of Cardiology/American Heart Association raccomandano di posporre un eventuale intervento di chirurgia elettiva non cardiaca di 30 giorni dopo l’impianto di stent metallico nudo e, in modo ottimale, di 6 mesi dopo l’impianto di stent medicato.

Conclusioni

Prima che venga presa la decisione di trasfondere qualsiasi prodotto della banca del sangue a un paziente, gli Anestesisti Rianimatori dovrebbero valutare tutti i benefici e i rischi secondo una prospettiva personalizzata per il singolo paziente nel contesto delle sue particolari condizioni fisiologiche e/o di patologia.

Il PBM si basa su un approccio personalizzato al singolo paziente durante tutto il periodo peri-operatorio.

Fattore molto importante è che i principi del PBM aiutano a strutturare gli interventi e le decisioni relative all’anemia e alla trasfusione di sangue.

Si va verso un approccio più ponderato massimizzando l’impiego delle alternative alla trasfusione di sangue.

Tutti e 3 i pilastri di PBM sono ugualmente importanti. Devono essere tutti implementati e strutturati all’interno del percorso perioperatorio dei pazienti chirurgici.

Sebbene non sia semplice e immediato, è oggi sempre più chiaro che un programma PBM offre all’Ospedale che lo adotta, la possibilità concreta di ridurre le necessità trasfusionali e i rischi correlati alle trasfusioni.

Quanto all’influenza del PBM di agire concretamente sugli esiti di tipo clinico, sono necessari ulteriori approfondimenti condotti con studi metodologicamente corretti.


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Articolo tratto dalla lezione del Percorso Formativo ATI14 del Prof. Gianni Biancofiore: “Il Patient Blood management


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