Malnutrizione e Terapia Nutrizionale
Il deficit calorico-proteico rappresenta un fattore critico per l’outcome dei pazienti che hanno un ricovero prolungato in Terapia Intensiva (TI).
Come sottolineato dalle linee guida tutti i pazienti che richiedono una degenza superiore alle 48 ore in TI dovrebbero essere considerati a rischio di malnutrizione e andrebbero sottoposti a terapia nutrizionale. Infatti la malnutrizione da deficit di apporto calorico e proteico è associata alla comparsa di:
- debolezza muscolare
- incremento delle infezioni nosocomiali
- ritardo nella riparazione delle ferite
- aumento del tempo di degenza
- aumento del tasso di morbilità e mortalità.
La terapia nutrizionale consiste nella somministrazione, per via enterale (NE) o parenterale (NP), di un adeguato apporto calorico, proteico e vitaminico integrato da elettroliti, oligoelementi e liquidi.
La nutrizione è considerata una vera e propria terapia e aiuta a:
- attenuare la risposta metabolica allo stress
- prevenire il danno ossidativo cellulare
- modulare la risposta immunitaria mantiene un’adeguata capacità funzionale dei muscoli scheletrici e respiratori
Tutto ciò consente un miglioramento della prognosi.
La maggior parte (85-90%) dei pazienti critici che richiedono un supporto nutrizionale possono essere alimentati fin dall’inizio per via enterale tramite sonde gastriche o intestinali.
Occorre tuttavia ricordare che nel 10-15% di questi pazienti, sussistono controindicazioni alla NE e che quindi vanno nutriti usando la NP.
Fisiopatologia della malnutrizione nei pazienti ricoverati in TI
I meccanismi alla base dei processi fisiopatologici sottesi all’insorgenza della malnutrizione nei pazienti ricoverati nelle TI riconoscono determinanti multifattoriali.
L’atrofia muscolare da malnutrizione si instaura nel corso della degenza in TI come conseguenza degli effetti legati agli ormoni catabolici, allo squilibrio tra introduzione e richiesta energetica e alla prolungata immobilità fisica.
Nonostante gli sforzi compiuti dagli intensivisti per attenuare la perdita di massa magra, questo effetto rappresenta comunque un evento atteso, seppur in proporzione variabile.
La fase acuta del paziente ricoverato in TI è caratterizzata dall’insorgere di processi catabolici.
Possono essere distinti in una prima fase precoce (1-2 giorni) e in una successiva fase tardiva (3-7 giorni).
La fase precoce è caratterizzata da un netto incremento del catabolismo. Segue la fase tardiva caratterizzata dalla comparsa di un’importante perdita di massa muscolare.
Nella fase post-acuta si instaura un processo di recupero durante la quale i processi anabolici prevalgono sul catabolismo.
Alcuni pazienti possono aver avuto già prima del ricovero in TI una riduzione dell’apporto alimentare.
Possono avere avuto un abnorme perdita di nutrienti a causa di diarrea, vomito, poliuria, perdita dai tubi di drenaggio, dialisi. Anche l’allettamento, la riduzione dell’attività fisica e la sedazione profonda possono causare ulteriore atrofia muscolo-scheletrica e inibire la risposta anabolica proteica.
Anche i farmaci che vengono frequentemente somministrati nel corso della degenza in TI possono essere responsabili del manifestarsi di effetti collaterali:
- danno muscolare,
- riduzione del flusso ematico a livello splancnico
- aumento delle perdite urinarie di elettroliti, minerali e vitamine idrosolubili.
Infine anche le infezioni e il trauma chirurgico possono aumentare il dispendio energetico e il fabbisogno proteico.
Confronto tra nutrizione enterale e parenterale nei pazienti critici
Le complicanze più frequentemente associate alla terapia nutrizionale sono l’inalazione polmonare e la diarrea per la NE. Nella NP si hanno spesso infezioni correlate ai cateteri venosi centrali e le alterazioni metaboliche.
La NE risulta meno costosa rispetto a quella parenterale. Ha una minor incidenza di infezioni dei cateteri vascolari, di complicanze meccaniche e metaboliche. Preserva la struttura delle mucose intestinali e la loro funzione di assorbimento e barriera.
Dalla letteratura si evince, inoltre, un’importante riduzione dell’incidenza di polmoniti, quando la NE venga impostata precocemente nei pazienti ricoverati in area critica.
D’altro canto alcune evidenze cliniche suggeriscono che la NP può incrementare il rischio di infezione.
Il meccanismo tramite il quale la NE riduce le complicanze infettive non è ancora definitivamente chiarito. L’ipotesi è che il beneficio sia da attribuire principalmente al mantenimento della funzione immunitaria intestinale.
Quando iniziare la terapia nutrizionale
La terapia nutrizionale in area critica è consigliata quando il paziente non è in grado entro 48 ore di alimentarsi spontaneamente in modo adeguato. Quando possibile per supportare le necessità metaboliche è preferibile l’avvio della sola NE. In caso contrario è consigliato l’utilizzo della combinazione di NE e di NP.
L’uso esclusivo della NP è consigliato solo in presenza di controindicazioni alla NE. Nel decidere la precocità dell’inizio della NP, in caso di controindicazione alla NE, si deve tener conto anche dello stato di nutrizione basale presente all’inizio dell’evento critico.
Perché si sviluppi uno stato di malnutrizione è sufficiente un apporto nutrizionale ipocalorico protratto per 10-15 giorni.
Ad oggi non è ancora stato validato un metodo per misurare con precisione lo stato nutrizionale dei pazienti ricoverati in TI utile per identificare i soggetti a rischio di malnutrizione.
Pertanto rimane valido il concetto secondo il quale tutti i pazienti ricoverati in TI per più di 48 ore debbano essere considerati a rischio di malnutrizione.
Le controindicazioni alla Nutrizione Enterale
In particolare le linee guida sconsigliano l’avvio della NE nei pazienti con shock emodinamicamente instabile, vale a dire quando non è ancora stata raggiunta un’adeguata perfusione tissutale nonostante la somministrazione di liquidi e amine vasopressorie.
Infatti questi pazienti sono a rischio di ischemia intestinale.
E’ importante sottolineare che l’instabilità dinamica di per sè, purchè sia mantenuta un’adeguata perfusione tissutale non rappresenta una controindicazione alla NE.
È importante anche ricordare che alcune condizioni cliniche, come ad esempio l’iperemesi gravidica o l’assenza di borborigmi intestinali o di flatulenza nel postoperatorio di interventi di chirurgia colon-rettale o a seguito di perforazione intestinale, che un tempo erano ritenute controindicazioni alla NE, oggi non sono più considerate controindicazioni.
Infatti benchè il rischio di vomito sia comunque presente in queste condizioni, l’inizio della NE potrebbe conferire un beneficio complessivo, riducendo il rischio di infezione.
Inoltre studi recenti hanno dimostrato che anche la presenza di una recente anastomosi gastro-intestinale posta distalmente al sito di infusione non rappresenta più una controindicazione alla NE.
Si è dimostrato che la precoce somministrazione di nutrienti per via enterale rende più solida l’anastomosi.
Occorre tuttavia ricordare che non vi sono ancora dati sufficienti per asserire che questo concetto valga per tutti i tipi di anastomosi e laddove si ritenga che l’anastomosi sia a rischio di deiscenza è opportuno fare riferimento al giudizio del chirurgo per stabilire quando avviare la NE.
Le controindicazioni alla Nutrizione Parenterale
Le controindicazioni alla NP includono la mancanza di adeguati tentativi di iniziare la NE, l’iperosmolarità, l’iperglicemia severa, le alterazioni elettrolitiche gravi, il grave sovraccarico di volume e l’assenza di accessi venosi adeguati.
Quindi nei pazienti critici ricoverati in TI la NE dovrebbe essere avviata entro le prime 24-48 ore dal momento che i benefici potenziali di una nutrizione enterale precoce sopravanzano di gran lunga i suoi rischi.
Per i pazienti in buono stato nutrizionale che presentino controindicazioni alla NE, le linee guida raccomandando di evitare l’avvio di una NP precoce.
Sebbene non sia ancora stato stabilito un timing ottimale per iniziare la NP in questi pazienti, in genere l‘alimentazione parenterale non viene avviata prima che sia trascorsa almeno una settimana dall’evento acuto.
Dovrebbe comunque essere evitata quando sia ipotizzabile che i fattori di rischio che precludono temporaneamente la NE possano risolversi rapidamente.
Ciò è in relazione con le evidenze cliniche che documentano come una NP precoce possa aumentare il rischio di infezione e prolungare i tempi di ventilazione meccanica, con il conseguente protrarsi dei tempi di permanenza in TI e di degenza ospedaliera.
Invece per i pazienti in cui si evidenzia uno stato di malnutrizione e che abbiano controindicazioni alla NE viene suggerito che la NP sia iniziata non appena possibile.
Il razionale sotteso consiste nell’ipotesi che il mancato supporto nutrizionale in pazienti con scarse riserve energetiche possa tradursi in un ulteriore peggioramento del quadro di malnutrizione che è a sua volta associato ad aumento del tasso di morbidità.
Questione di timing
Non è stato ancora definito un timing ottimale per associare una NP supplementare nei pazienti che ricevano una NE non adeguata dal punto di vista calorico.
Comunque se dopo la prima settimana di degenza in TI, la NE risulta ancora insufficiente a fornire un corretto apporto calorico rispetto al fabbisogno, occorre prendere in considerazione la possibilità di associare una NP supplementare.
Una volta stabiliti il timing e la modalità con cui fornire un appropriato apporto nutrizionale, occorre perseguire l’obiettivo energetico prefissato progressivamente e non prima di 72 ore, al fine di evitare il rischio di sovra-alimentazione.
Infatti nelle prime fasi del decorso di un evento acuto, caratterizzato da una massiva produzione di energia endogena per contrastare lo stress, dovrebbe essere evitato l’apporto di un’eccessiva quantità di nutrienti.
Prevenzione della sindrome da rialimentazione
Definiamo la sindrome da rialimentazione (refeeding syndrome) come una costellazione di alterazioni metaboliche, potenzialmente fatali, che si verifica soprattutto nei pazienti sottoposti a digiuno protratto o gravemente malnutriti.
Si tratta di un quadro clinico complesso, correlato alla re-introduzione di elettroliti e di apporto calorico in un organismo sottoposto a digiuno, caratterizzato principalmente da segni di ipofosfatemia grave (inclusi l’insufficienza respiratoria, il collasso cardio-circolatorio, la rabdomiolisi, le convulsioni e il delirio) associati a ipokaliemia e ipomagnesemia.
La sindrome è una conseguenza all’incremento improvviso di insulina determinato dal passaggio da uno stato catabolico in cui venivano utilizzati lipidi e proteine come fonte calorica a un riutilizzo del glucosio come fonte energetica.
L’incremento dei livelli di insulina determina una riduzione della tiamina e un passaggio all’interno delle cellule di fosforo, magnesio e potassio.
Nei pazienti a rischio di sindrome da rialimentazione è quindi possibile anche osservare la comparsa di encefalopatia di Wernicke da deficit di tiamina.ù
Il parametro principale utilizzato per far diagnosi di sindrome da rialimentazione è l’ipofosfatemia che compare entro 72 ore dall’inizio della nutrizione (sia NE che PN).
Quanso sospettare la refeeding syndrome?
Gli intensivisti devono sospettare l’insorgenza di questa sindrome soprattutto quando si trovino in presenza di:
- un paziente con malnutrizione manifesta
- soggetti obesi con importante recente calo ponderale
- pazienti affetti da diabete mellito scompensato
- alcoolismo cronico
- sindromi da malassorbimento
- pazienti con assunzione prolungata di diuretici e antiacidi
In tutti questi soggetti dovrebbe essere avviato un supplemento nutrizionale pari al 50% del fabbisogno calorico stimato. Incrementare gradualmente sino a raggiungere l’obiettivo prefissato nel corso di circa 10 giorni.
In tutti i soggetti malnutriti, dovrebbe essere previsto anche un adeguato apporto di tiamina all’inizio della nutrizione artificiale con monitoraggio quotidiano del fosfato. In caso di comparsa di ipofosfatemia entro i primi tre giorni dall’inizio della nutrizione dovrebbe sempre essere ridotto l’introito calorico.
Efficacia di un’adeguata terapia nutrizionale
L’importanza di una corretta nutrizione nel paziente critico è sempre più chiaramente evidenziata dalla letteratura, soprattutto nel paziente ricoverato per un lungo periodo in TI. La malnutrizione coinvolge aspetti sia clinici che economici.
Dal punto di vista clinico i pazienti malnutriti hanno più difficoltà a rispondere alle cure e una maggiore frequenza di complicanze con aumento dei giorni di degenza.
Questo porta a un impatto economico sul SSN molto superiore rispetto alla spesa standard.
È fondamentale un approccio pratico alla nutrizione che coinvolga sia il personale medico che infermieristico al fine di aumentare la sicurezza e l’efficacia di un corretto apporto nutrizionale.
Articolo tratto dalla lezione del Percorso Formativo ATI14 del Dr. Fabrizio Racca: “Terapia nutrizionale nei pazienti ricoverati in area critica“
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