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Complicanze cardiorespiratorie postoperatorie

Frequenza e fattori di rischio delle complicanze cardiorespiratorie

Nonostante negli anni, l’incidenza di complicanze cardiorespiratorie si sia progressivamente ridotta, come conseguenza del miglioramento delle tecniche e procedure anestesiologiche e chirurgiche, le complicanze cardiache postoperatorie rimangono un problema rilevante.

Circa 200 milioni di persone l’anno si sottopongono ad interventi di chirurgia non-cardiaca. Questo tipo di chirurgia è associato a un tasso di complicanze variabile tra il 7-11%. Il 42% di tali complicanze sono di tipo cardiovascolare (PCC), con un’incidenza in Europa di circa 167.000 casi/anno, di cui 19.000 mettono a rischio la vita del paziente.

Tali complicanze sono d’importanza fondamentale poiché contribuiscono a circa un terzo dei decessi perioperatori, oltre che ad aumentare i tempi di ospedalizzazione e la spesa sanitaria.

200 milioni di persone si sottopongono ogni anno a interventi di chirurgia non-cardiaca, con un tasso di complicanze compreso tra il 7 e l'11% | #ECM #ComplicanzeCardiorespiratorie Share on X

Le complicanze respiratorie (PPC) presentano una frequenza sovrapponibile a quelle cardiovascolari ma con un maggiore impatto sui costi con un tasso maggiore di giorni di ospedalizzazione rispetto a complicanze infettive o cardiovascolari.

Il rischio di complicanze cardiorespiratorie risulta notevolmente aumentato, se consideriamo gli interventi di chirurgia maggiore, dove è maggiore la richiesta di ossigeno dovuto all’attivazione della risposta neuroendocrina ed infiammatoria indotta dallo stress chirurgico.

Fondamentale è un’attenta ed accurata valutazione preoperatoria per l’identificazione dei pazienti a rischio e, laddove possibile, intervenire al fine di ottimizzare le condizioni cliniche del paziente per prevenire la comparsa di complicanze cardiorespiratorie.

Fattori di rischio per complicanze cardiovascolari

Le complicanze cardiache più frequentemente considerate sono: edema polmonare acuto cardiogeno, infarto acuto del miocardio, complicanze aritmiche e arresto cardiaco.

Il rischio di eventi cardiovascolari aumenta a seconda del tipo di chirurgia (raggiungendo il 6,2% nei pz sottoposti a chirurgia vascolare).

Il tipo di chirurgia non è però l’unica variabile, in quanto la comparsa di tali eventi è funzione di una complessa interazione tra fattori di rischio individuali del paziente e lo stress chirurgico, nella cui definizione rientra non solo la procedura in sé ma anche il tipo di anestesia, il controllo della temperatura, la posizione del paziente e il sanguinamento.

Negli ultimi decenni, sono state infatti migliorate sia le tecniche chirurgiche in termini di invasività, sia quelle anestesiologiche con un più accurato monitoraggio per ridurre gli effetti stressanti a carico del cuore.

Tra i fattori di rischio per lo sviluppo di PCC includiamo la presenza di:

  • Ipertensione arteriosa: Se non controllata nel periodo perioperatorio incrementa il rischio di ischemia, LVED, aritmie.
  • Insufficienza cardiaca congestizia: aumenta la mortalità con l’aumentare della classe funzionale.
  • Cardiopatia ischemica: durante gli anni 70 numerosi studi hanno già dimostrato l’aumento del rischio del 30% di re-infarto o morte cardiaca improvvisa se l’intervento veniva eseguito entro 3 mesi dall’evento acuto o del 15% se eseguito tra i 3 e i 6 mesi successivi.
  • Stenosi aortica: aumento del 13% del rischio di mortalità perioperatoria; variabile in base al grado di severità fino ad un massimo del 50% per un deficit severo.

Fattori di rischio per complicanze respiratorie

I principali fattori di rischio nello sviluppo di eventi avversi respiratori sono classificabili in due categorie:

Non modificabili:
  • Età: l’età avanzata è predittiva. Numerosi studi hanno dimostrato il legame tra pazienti ultrasessantenni e lo sviluppo di complicanze.
  • Tipo di intervento: al pari delle complicanze cardiache, esistono chirurgie ad alto rischio ed altre a rischio minore. L’incidenza più alta si rileva in particolare nella post chirurgia addominale e vascolare. Il rischio risulta, inoltre, aumentato da 2 a 6 volte se si comparano la chirurgia elettiva e quella d’emergenza.
Modificabili:
  • Comorbidità: ASA Score >II, diagnosi di BPCO, insufficienza cardiaca o patologia epatica cronica. Una metanalisi ha dimostrato che pazienti con apnea notturna hanno rischio due volte superiore a sviluppare insufficienza respiratoria acuta post-intervento. Le stesse infezioni rappresentano una controindicazione temporanea all’intervento che dovrebbe essere rimandato se in elezione, in quanto il rischio di PPC nel mese successivo un infezione polmonare è aumentato.
  • Fumo: il rischio è documentato da sempre in letteratura. In particolare il numero di pacchetti consumati per anno è associato a un rischio incrementale sia per mortalità sia per sviluppo di PPC. Si consideri inoltre il tempo che intercorre tra l’astinenza totale al fumo e il momento dell’intervento. Un’interruzione superiore a 8 settimane prima dell’intervento riduce il rischio di PPC del 47% suggerendo dunque di incoraggiare lo smettere di fumare almeno nel pre-operatorio.
  • Anemia pre-operatoria: Valori di Hb<10 g/l aumentano il rischio di PPC.

Complicanze cardiorespiratorie: Risk Assessment

L’indice ASA Score

Il rischio di eventuali complicanze peri-operatorie cardiopolmonari viene normalmente valutato attraverso indici o scale. Essi integrano la valutazione clinica, con lo scopo di sostenere la probabilità diagnostica, di identificare con buona approssimazione la prognosi, ma soprattutto per stratificare i pazienti evidenziando quelli a maggior rischio di complicanze operatorie.

L’indice più utilizzato nella valutazione globale di un paziente è sicuramente l’ASA Score, che permette sulla base di alterazioni funzionali e/o organiche di suddividere i pazienti in classi di rischio (I – V), consentendo dunque di selezionare quelli che necessitano di interventi nel pre-operatorio ed eventualmente di cure intensive/sub-intensive nel postoperatorio.

Tuttavia, pur essendo l’unico score in grado di correlare lo stato fisico del paziente con il rischio anestesiologico e operatorio, non è in grado, da solo, di definire una corretta valutazione preoperatoria nel paziente.

È troppo generico, non quantifica il rischio di complicanze postoperatorie, né tantomeno è in grado di individuare quali siano le complicanze a cui il paziente potrebbe andare incontro.

L’indice più utilizzato nella valutazione globale di un paziente è l’#ASAScore. Questo permette di suddividere i pazienti in classi di rischio (I – V) sulla base di alterazioni funzionali e/o organiche | #ECM Share on X

I Test Dinamici come strategia

Occorre dunque individuare una serie di strategie che mirino alla stratificazione del rischio per lo sviluppo di complicanze cardiopolmonari. Di grande importanza è l’utilizzo di test dinamici, nello specifico quelli in grado di misurare la capacità funzionale del paziente, detta anche riserva cardiopolmonare.

I pazienti con scarsa capacità funzionale potrebbero non essere in grado di sopperire l’incremento della richiesta energetica nel post-operatorio, esponendosi maggiormente a complicanze.

È stato tuttavia dimostrato l’incremento del rischio di eventi solo nella chirurgia toracica.

Da notare inoltre che, quando la riserva cardiopolmonare è elevata, la prognosi è eccellente, anche in presenza di fattori di rischio e/o cardiopatia ischemica. È quindi un buon parametro di orientamento che va integrato con l’individuazione dei fattori di rischio per una corretta stratificazione preoperatoria.

Il gold standard nella valutazione della riserva cardiopolmonare è il test da sforzo cardiopolmonare.

Ulteriore supporto proviene dai test non invasivi e dall’utilizzo di biomarkers clinici predittivi. Il dosaggio delle troponine cardiospecifiche è già noto nella clinica come migliore marker in termini di sensibilità e specificità nella diagnosi dell’infarto del miocardio.

Il gold standard nella valutazione della riserva cardiopolmonare è il test da sforzo cardiopolmonare | #ECM #Anestesia Share on X

In particolare, un aumento, seppur lieve, nel periodo preoperatorio riflette un danno miocardico con peggior prognosi e outcomes di eventi cardiaci postoperatori.

E’ necessario menzionare anche il dosaggio del peptide natriuretico atriale B e della sua porzione N-terminale prodotti a seguito di incremento dello stress di parete. Questi porterebbero ulteriori dati, negli outcomes postoperatori, specialmente nella chirurgia vascolare non cardiaca.


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Articolo tratto dalla lezione del Percorso Formativo ATI14 del Prof. Edoardo De Robertis: “Come prevenire e trattare le complicanze cardiorespiratorie” (ANNO 2018)


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