Il dolore in terapia intensiva: un problema clinico e umano ancora troppo sottovalutato
In terapia intensiva, il dolore è un sintomo presente in una percentuale altissima di pazienti, sia nel periodo acuto sia in fase post-critica.
Purtroppo, nonostante i progressi della medicina intensiva, il dolore resta spesso sottovalutato o non adeguatamente trattato, soprattutto nei pazienti non comunicanti o sottoposti a ventilazione meccanica.
Questo ha ricadute importanti: un dolore non controllato può peggiorare la risposta infiammatoria, aumentare il consumo di ossigeno, contribuire all’instabilità emodinamica, prolungare la degenza e favorire l’insorgenza del dolore cronico.
Gli oppioidi rappresentano il principale strumento farmacologico per il trattamento del dolore acuto in questi pazienti, ma il loro utilizzo deve essere ben bilanciato.
Una somministrazione eccessiva o non appropriata può portare a tolleranza, dipendenza, iperalgesia indotta da oppioidi e alterazioni cognitive.
È dunque essenziale un approccio razionale e strutturato, basato su linee guida, esperienza clinica e strumenti validati.
La valutazione del dolore: strumenti indispensabili anche nel paziente critico
Valutare il dolore è un atto clinico fondamentale. Non esiste una terapia efficace se non c’è prima una buona diagnosi, e lo stesso vale per il dolore.
La valutazione non si può basare sull’intuito o sull’osservazione generica, ma deve essere sistematica, documentata e ripetibile. Nei pazienti in grado di comunicare, le scale autovalutative come la NRS (Numeric Rating Scale) o la VAS (Visual Analog Scale) sono il gold standard.
Nei pazienti non comunicanti, invece, è necessario usare scale comportamentali validate come la CPOT (Critical-Care Pain Observation Tool) o la BPS (Behavioral Pain Scale).
Questi strumenti consentono di riconoscere il dolore anche nei pazienti sedati o intubati, attraverso la valutazione di parametri comportamentali (mimica facciale, movimenti, tensione muscolare).
Una corretta valutazione consente non solo di trattare meglio il paziente, ma anche di personalizzare l’uso degli oppioidi ed evitare eccessi o carenze terapeutiche.
Analgosedazione: dall’anestesia profonda alla gestione cosciente del comfort
L’approccio moderno alla sedazione in terapia intensiva ha portato a un cambiamento di paradigma. In passato si privilegiava una sedazione profonda, spesso prolungata, che lasciava il paziente incosciente e immobile.
Oggi, invece, si parla sempre più di analgosedazione, ovvero di un trattamento in cui l’analgesia è il primo obiettivo, e i sedativi vengono utilizzati solo se strettamente necessari.
Questo approccio si basa su protocolli individualizzati, che mirano a mantenere il paziente sveglio, orientato e collaborante quando possibile.
L’analgosedazione riduce la durata della ventilazione meccanica, favorisce il weaning, diminuisce le infezioni e migliora il comfort soggettivo.
Fondamentale è anche il concetto di sedazione adeguata: non è necessario eliminare ogni stimolo, ma offrire un controllo del dolore che permetta al paziente di tollerare le procedure salvavita e di non sviluppare una risposta da stress nociva.
La scelta degli oppioidi: farmacologia, indicazioni e prudenza clinica
Gli oppioidi non sono tutti uguali, e la loro scelta in terapia intensiva deve essere guidata da criteri farmacologici precisi.
La morfina, il fentanil, il remifentanil e il sufentanil sono tra le molecole più utilizzate.
Ognuna ha vantaggi e svantaggi: la morfina ha un effetto prolungato ma può accumularsi nei pazienti con insufficienza renale; il fentanil è molto potente e lipofilo, ma può accumularsi nei tessuti; il remifentanil ha un’emivita estremamente breve e può essere utile in caso di rapida sospensione.
La titolazione deve essere sempre graduale e monitorata.
È importante ricordare che l’effetto analgesico desiderato può essere raggiunto con dosi più basse se si lavora in modo multimodale e si adatta la terapia al profilo farmacocinetico del singolo paziente.
L’obiettivo non è eliminare completamente il dolore (che può non essere realistico), ma mantenerlo entro soglie accettabili, senza effetti collaterali gravi o sedazione non necessaria.
Multimodalità: un approccio sinergico al controllo del dolore
Una strategia efficace per ridurre il carico di oppioidi è l’adozione dell’analgesia multimodale, cioè l’uso combinato di più farmaci e tecniche che agiscono su vie diverse del dolore.
Oltre agli oppioidi, si possono utilizzare paracetamolo, FANS, ketamina a basse dosi, clonidina, gabapentinoidi, e nei casi appropriati anche tecniche locoregionali come blocchi nervosi o anestesia peridurale.
La multimodalità ha due grandi vantaggi: aumenta l’efficacia dell’analgesia e riduce la dose totale di oppioidi necessaria, limitandone gli effetti collaterali.
In terapia intensiva, può includere anche interventi non farmacologici: supporto psicologico, contatto con i familiari, comfort ambientale e strategie di distrazione o rilassamento.
Opioid stewardship: il futuro della gestione responsabile
Il concetto di opioid stewardship nasce per promuovere un uso più responsabile, sicuro e monitorato degli oppioidi, sulla scia dei programmi di antibiotic stewardship.
In terapia intensiva, questo significa definire protocolli chiari per la prescrizione, usare strumenti per la valutazione continua del dolore, promuovere il dialogo tra medici, infermieri e farmacisti e tenere sotto controllo l’uso a lungo termine degli oppioidi, anche alla dimissione.
Un altro elemento importante è la formazione: tutti gli operatori devono conoscere i rischi e le alternative disponibili.
La stewardship non è una limitazione, ma un’opportunità per migliorare l’efficacia terapeutica, evitare abusi e garantire una migliore qualità della cura.
Conclusione: verso un uso consapevole, mirato e sostenibile degli oppioidi
La lezione del Prof. Gregoretti è un invito forte a riflettere sull’uso degli oppioidi in terapia intensiva. Non si tratta di demonizzare questi farmaci, ma di imparare ad usarli meglio, con maggiore consapevolezza, competenza e personalizzazione.
Solo un approccio integrato e razionale, basato sulla valutazione costante, la multimodalità e una visione etica della cura, può portare a un reale miglioramento degli outcome clinici e a una gestione più sostenibile del dolore in terapia intensiva.
Il contenuto di questo articolo è tratto dalla lezione ECM “La razionalizzazione degli oppioidi in Terapia Intensiva”, curata da:
Cesare Gregoretti – Unità Operativa di Anestesia e Rianimazione – Fondazione Istituto “G. Giglio” Cefalù, Palermo. School of Medicine and Surgery, Saint Camillus International Medical University in Rome – UniCamillus, Giovanni Misseri – Unità Operativa di Anestesia e Rianimazione – Fondazione Istituto “G. Giglio” Cefalù, Palermo, Matteo Piattoli – Dipartimento di scienze cliniche internistiche, anestesiologiche e cardiovascolari, Ospedale Umberto I, Università La Sapienza, Roma, Alice Mirasola – Unità Operativa di Anestesia e Terapia Intensiva, Ospedale San Giovanni di Dio, Agrigento
Il materiale originale fa parte del Percorso Formativo ATI14 2025. I contenuti sono utilizzati con finalità divulgative e restano di proprietà dei rispettivi autori.
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